Sharing o gig economy?

Una delle sfide relative all’impatto delle nuove tecnologie basate sull’uso delle piattaforme – e tra queste anche quelle legate all’uso dei nuovi servizi di Sharing mobility – riguardano le condizioni di lavoro di chi produce questi servizi.

È da poco che si è spenta l’eco della protesta dei tassisti sul decreto c.d. “mille proroghe” ma non quella dei commenti sul web e sui media tra pro e anti Uber, così come avvenne nel 2015 in occasione della messa al bando del servizio di UberPop. Nel dibattito ricorre spesso il tema della sostenibilità.Ora, se è vero che la Sharing mobility riduce gli impatti ambientali della mobilità, non per questo devono essere sottovalutati gli effetti che alcuni nuovi modelli di business hanno sulla precarietà e su una remunerazione dignitosa del lavoro. La sostenibilità sociale è altrettanto importante di quella ambientale e non ci si può fermare ai soli effetti positivi, la creazione della cosiddetta Community per esempio, ma anche a quelli molto controversi che riguardano lo sfruttamento di chi è chiamato a produrre un servizio di sharing.

Lo scivolamento della Sharing economy verso quella che in molti già chiamano con disillusione Gig economy rappresenta un fallimento per chi ritiene che la condivisione e la collaborazione siano delle nuove potenti opportunità per orientare l’attuale sistema dei trasporti verso la sostenibilità.

 

FacebookTwitterLinkedInEmailGoogle GmailBookmark/Favorites

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato.