Dopo l’immobilità

Il settore dei trasporti è tra i settori più colpiti durante l’emergenza Covid-19 e i servizi di sharing non hanno fatto eccezione. Durante il lockdown il calo della domanda è stato verticale, in media del 70-80%[1] per tutti i servizi di mobilità condivisa. Alcuni servizi di sharing mobility hanno interrotto il servizio, altri hanno comunque ridotto le flotte a disposizione. Il modo con cui gli operatori hanno garantito la continuità del proprio servizio ha fatto emergere ancora una volta la totale assenza di regolazione del settore. Nessun servizio di sharing mobility è considerato un servizio pubblico essenziale. Ciò nonostante i servizi di carsharing sono spesso in esercizio grazie a delle convenzioni con le amministrazione locali e dunque sono soggetti al rispetto di alcuni requisiti. Altri servizi invece sono attivi in forza di una semplice segnalazione di inizio attività e dunque rispondono solamente all’impegno con i propri clienti. Anche l’eterogeneità dei codici Ateco degli operatori e dei servizi ha prodotto un fermo delle attività a macchia di leopardo, in funzione degli obblighi derivanti dall’attuazione dei Dpcm. Indipendentemente da questo, ogni operatore a messo a punto una sua specifica strategia: chi interrompendo il servizio, chi invece ha inteso offrirlo gratuitamente a particolari segmenti della popolazione impegnata nel contrasto alla pandemia (medici, infermieri, protezione civile etc.), chi ha ridotto il numero dei veicoli su strada…Questa condizione sottolinea che, mentre è largamente condiviso il ruolo essenziale dei servizi di sharing mobility, di fatto non esiste una benché minima cornice giuridica per garantire la loro presenza e diffusione nel territorio. Mentre nel c.d. Decreto Rilancio, per esempio, sono contenuti indennizzi, sussidi e riduzioni dei canoni per l’uso delle infrastrutture per i servizi di mobilità condivisa tradizionali (servizi ferroviari, TPL su gomma e su ferro), nulla è previsto per il settore della sharing mobility né direttamente per gli operatori né indirettamente alle amministrazioni locali per ridurre i canoni che alcuni operatori di sharing versano per l’utilizzo dell’infrastruttura stradale (sosta, accessi nelle ZTL etc.). Anche in questo caso emerge come il livello dell’intervento pubblico sia ancora settoriale e non tenga conto della dimensione sistemica della mobilità come servizio condiviso. Molti analisti e policy maker s’interrogano sul futuro dei servizi di sharing mobility. Considerando come la pandemia sia un fenomeno globale, la questione non è esclusivamente italiana ma tende a mettere al centro della riflessione alcuni servizi piuttosto che altri. Negli Stati Uniti, per esempio, dove sharing mobility “fa rima” con ridehailing (Uber, Lyft, Via etc.) è in corso una riflessione sulla resilienza del modello economico delle piattaforme digitali. Ciò che infatti appare possibile è che l’assenza di domanda per un certo periodo di tempo potrebbe far collassare un intero settore economico composto da aziende valutate miliardi di dollari, grazie alle promesse di redditività futura e d’investimenti privati colossali, ma che ancora accumulano enormi perdite d’esercizio ogni anno. Questo scenario avrebbe conseguenze molto rilevanti sull’offerta di servizi di mobilità nelle città americane come dal punto di vista sociale e occupazionale. In questo senso le piattaforme di ridehailing stanno rispondendo con strategie aggressive per diversificare l’offerta di servizio. Uber, per esempio, dopo l’azienda i bikesharing Jump, ha appena incorporato Lime, l’azienda che per prima ha cavalcato l’onda positiva dell’uso dei monopattini in sharing, per consolidare nella propria piattaforma l’integrazione di più servizi. Tra questi, stanno assumendo sempre più spazi quelli legati alla cosiddetta delivery vale a dire la consegna a domicilio di diversi tipi di prodotti, in particolare cibo e medicinali. In Italia, il servizio di ridehailing è pressoché assente (se non per gli operatori di NCC che sono anche driver per la piattaforma Uber) ma il servizio di taxi digitale, o E-hail, ha cominciato a diffondersi progressivamente. In questo caso però, il sistema della piattaforma, si “appoggia” sulla realtà dei taxi già presenti sul territorio i quali sono inquadrati in una cornice normativa che garantisce obbligo di servizio pubblico, esclusività attraverso il sistema del contingentamento delle licenze e prezzi amministrati. Le recenti indicazioni provenienti dal Ministero dei Trasporti e della Infrastrutture, relative alle procedure di sicurezza da adottare nel servizio di taxi (obbligo di non sedere a fianco del conducente, obbligo della mascherina, raccomandazione di osservare 1 m di distanza, senza impedire il trasporto di più di un cliente) consentono al servizio di operare ma è prevedibile che vi sia una flessione della domanda che non ritornerà ai livelli pre Covid 19 come per moltissime altre attività economiche. Stante questi standard di sicurezza per l’uso delle automobili, si prevede che il carpooling aziendale, considerando la composizione degli equipaggi che prevedono driver e passeggeri appartenenti alla stessa azienda, possa garantire la continuità del proprio servizio. Molti operatori, anche a livello internazionale, non escludono che il carpooling aziendale possa rappresentare una risorsa per quei lavoratori che, abbandonato temporaneamente il trasporto pubblico ma senza un’auto di proprietà, potrà recarsi al lavoro con questo tipo di servizio. Questo aspetto della possibilità di selezionare gli equipaggi, può essere lo stimolo anche per iniziare seriamente la diffusione e l’utilizzo dei servizi a chiamata con piattaforme digitali. Microtransit o DRT sono servizi presenti in Italia solo in termini sperimentali ma oggi possono acquisire un ruolo determinante per due diversi casi d’uso: la navetta aziendale o scolastica che può acquisire prestazioni migliori del passato grazie al supporto delle tecnologie digitali, il servizio di trasporto pubblico in condizioni di domanda debole, con la possibilità di prenotazione del posto e la realizzazione di itinerari flessibili (in particolare le fermate) rideterminabili dinamicamente in funzione della domanda. Diverso il caso del carpooling di lunga percorrenza, dove si appuntano oggi le maggiori incertezze, proprio per l’indeterminazione dell’equipaggio e della tendenza in questo servizio a operare con una media di più di due passeggeri a bordo. Quanto ai servizi di sharing con veicoli leggeri, poco ingombranti e spesso elettrici, quali ciclomotori, biciclette ed e-bike o monopattini, ciò che ci si attende è una ripresa rapida dei livelli pre crisi. Se infatti la domanda sarà comunque minore in termini aggregati per effetto di un maggiore ricorso al lavoro agile e alla didattica a distanza (ma anche dell’incombente crisi economica ed occupazionale), vi è una diffusa convinzione che la mobilità attiva compenserà almeno in parte l’uso del trasporto pubblico e che questa tendenza premierà questo tipo di servizi di sharing. Tra i segnali positivi in questo senso è possibile riferirsi ai dati registrati a Milano che hanno già visto un innalzamento dell’uso della micromobilità in sharing e alla realizzazione di nuove corsie ciclabili d’emergenza che garantiranno maggior spazio per usare con maggior sicurezza e piacevolezza questo tipo di veicoli. Per quello che riguarda il carsharing le incognite derivano in larga parte dal versante economico-gestionale. Come visibile anche dal sondaggio effettuato dall’Osservatorio sharing mobility, il carsharing, soprattutto per chi lo usa abitualmente, è considerato un modo di spostarsi sufficientemente sicuro. Gli operatori, in collaborazione con l’OSM, hanno messo a punto una pratica condivisa da consigliare ai propri utenti che consiste nel prendere delle precauzioni disinfettando le parti del veicolo con cui si viene a contatto durante l’uso (la maniglia esterna, le chiavi, il volante etc). Alcuni operatori garantiranno una fascia di minuti gratuita per effettuare queste operazioni e renderanno maggiormente disponibili le informazioni rispetto agli interventi di igienizzazione e sanificazione effettuati quotidianamente. L’esito di questa campagna di comunicazione innalzerà ulteriormente la fiducia degli utilizzatori. Ciò che però desta preoccupazione è la sostenibilità economica del servizio che, per quanto in questi anni sia costantemente cresciuta, rischia di essere riportata indietro a causa di una riduzione della domanda che potrebbe riportare i tassi di rotazione e le percentuali d’utilizzo delle auto ai livelli di alcuni anni fa. Questo fenomeno, associato con l’assenza di sostegno pubblico di questo settore, potrebbe ridurre la disponibilità del servizio nelle città italiane e comunque frenare la sua già ridotta progressione riscontrata nell’arco degli ultimi due anni. In conclusione, ciò che oggi è possibile affermare è che i servizi di sharing mobility sono in grado di offrire soluzioni di mobilità molto utili anche in questo frangente e che i cittadini sono predisposti ad usarli, anche adottando delle precauzioni. D’altra parte, la prospettiva da cui guardare i fenomeni in corso non è se la mobilità condivisa sarà in grado di reggere all’impatto del cambio di abitudini delle persone a causa della pandemia. La questione è piuttosto quanto le città italiane potranno reggere l’aumento della congestione dovuta allo spostamento modale da questi servizi verso l’automobile privata ma anche quanto gli italiani, che oggi usano abitualmente servizi di mobilità condivisa, potranno realmente permettersi di rinunciare alla mobilità in condivisione.



[1] Qui per esempio è possibile visualizzare l’impatto del lockdown in termini differenziali nella città di Milano https://milancovid-19impact.weebly.com/sintesi.html

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