Un nuovo stile di mobilità: a quali condizioni?

Quando si affronta il tema della Sharing mobility, è importante comprendere che i nuovi servizi di mobilità condivisa saranno in grado di diffondersi e svilupparsi a livello di massa – tanto nella grandi città come Milano, dove si registra la penetrazione più intensa, che, a maggior ragione, nelle altre realtà italiane – solo se saranno parte di un nuovo modello di mobilità multimodale.

Come sottolineato nel 1° Rapporto Nazionale sulla Sharing mobility, il fenomeno della mobilità condivisa va giudicato anche alla luce dell’avvento della tecnologia della guida autonoma, la “Mobility Internet”[1] e la diffusione dei veicoli elettrici. In questa prospettiva, impressionati dalla straordinarietà delle trasformazioni che si preparano, è facile cadere in una serie di grandi equivoci. Sarebbe per esempio un errore clamoroso attendersi che le nuove tecnologie che investiranno la cosiddetta “personal mobility” siano in grado di rendere inutili o superati i servizi di trasporto pubblico basati sui sistemi di trasporto rapido di massa come treni suburbani, metropolitane, tramvie, etc.

Sono estremamente utili a questo proposito le simulazioni svolte per esempio da ITF sulla città di Lisbona. In questo studio si simula con un modello di traffico che l’intera città di Lisbona si sposti attraverso due diversi servizi di Sharing mobility (entrambi immaginati nella doppia configurazione senza e con guida autonoma):

  • un servizio dove i viaggiatori condividono la stessa auto simultaneamente fino alla capacità massima del veicolo[2] che lo studio chiama con il nome di Taxi Robot o TaxiBot;
  • un servizio dove i viaggiatori condividono la stessa auto in modo sequenziale[3] che prende il nome di “Automated Vehicle Robot” o sistema AutoBot.

Dall’analisi dei risultati della simulazione per la città di Lisbona emerge che la completa sostituzione del parco circolante tradizionale con veicoli condivisi (con o senza guida autonoma) comporterebbe l’eliminazione sino al 90% del parco veicoli attuale a parità di domanda di trasporto, qualità e tempi di viaggio. La riduzione è molto più forte ovviamente nel caso di utilizzo di veicoli in ridesplitting rispetto a quelli utilizzati in carsharing. La riduzione dei veicoli si tradurrebbe in una riduzione degli spazi di parcheggio sino all’80% della superficie attuale, consentendo dunque la possibilità di destinare questo spazio anche ad altre modalità di trasporto come per esempio la bicicletta o per altri usi diversi dalla mobilità. Ma attenzione, i flussi di traffico lungo la rete stradale potrebbero però variare sensibilmente in funzione dei sistemi utilizzati (Taxibot o Autobot) sia nella loro reciproca combinazione sia nella loro integrazione con i tradizionali sistemi di trasporto pubblico. Mentre la combinazione di TaxiBot con un sistema rapido di massa (metropolitane e tramvie) ridurrebbe i veicoli circolanti nelle ore di punta sino al 65%, viceversa l’uso del solo AutoBot aumenterebbe il numero dei veicoli in circolazione sino al 103%! Secondo ITF l’introduzione dell’azionamento elettrico dovrebbe essere parte integrante ed indispensabile di questi servizi di trasporto proprio per compensare un aumento verticale delle percorrenze chilometriche. Non proprio un grande risultato in termini di sostenibilità ambientale!

 

 

 

 



[1] “Mobility Internet”, è un termine coniato dal MIT di Boston nel 2010 e che prevede una transizione tecnologica che investirà il movimento delle persone e delle merci analogo a quello che Internet ha rappresentato nel campo dell’informazione, grazie alla possibilità di coordinamento in tempo reale di un’enorme connettività spazio-temporale e alla creazione di un’infrastruttura di dati.

[2] Il servizio di cui si simula l’utilizzo è di tipo “a domanda”: non avverrebbe lo spostamento se non vi fosse un passeggero che lo richiede.  Questo sistema lo abbiamo definito nel 1° Rapporto nazionale della Sharing mobility con il termine di Ridesplitting, visto che lungo il tragitto l’equipaggio del veicolo può aumentare di numero in funzione di altre richieste.

[3] Si tratta di un servizio di carsharing a cui la guida autonoma garantirebbe la possibilità al veicolo condiviso di essere “chiamato” dall’utente invece che prelevato su strada.

FacebookTwitterLinkedInEmailGoogle GmailBookmark/Favorites

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato.