Nel 1972 fu pubblicato Learning from Las Vegas (R. Venturi, D. Scott Brown, S. Izenour), un libro molto conosciuto tra gli architetti della mia generazione in cui gli autori descrivono le trasformazioni più sorprendenti della “città del vizio” e, tra queste, l’urban sprawl connesso all’uso di massa delle auto.
Questa mattina su twitter ho visto questo brevissimo video con l’espansione della città di Las Vegas da quel momento in poi. Ho trovato quest’immagine come questa ricorrenza (esattamente 50 anni) molto significativa per chi, come me, s’interessa d’urbanistica e di quella componente di questa disciplina che si occupa dell’interazione tra mobilità e territorio. Quello che nel 1972 veniva già giudicata un’espansione vitale ma affrettata e densa di contraddizioni, altro non era che una pallida raffigurazione di quello che sarebbe accaduto nei cinquanta anni successivi.
Si potrà pensare che questo sia un fenomeno americano e per di più di una città del tutto particolare come Las Vegas ma sarebbe solo un piccolo pregiudizio autoconsolatorio (non siamo mica gli americani…). La realtà è che quell’espansione incredibile che ha caratterizzato le nostre città negli anni del boom economico, quando cresceva la popolazione e ci si inurbava da campagna e piccoli paesi, altro non è che un fenomeno di scala modesta rispetto a quello che è accaduto negli ultimi quattro decenni. È in questo periodo storico, con crescita economica e demografica molto ridotta rispetto ai “Trenta gloriosi”, che le città italiane sono letteralmente esplose nel territorio, esattamente come Las Vegas.
Chi oggi si occupa di rendere la mobilità urbana più sostenibile, di riduzione dell’uso del mezzo di proprietà, di utilizzo delle diverse forme di mobilità attiva e di rilancio del trasporto rapido di massa e della mobilità condivisa, deve sempre tenere presente quale sia la condizione che ereditiamo dal recente passato, una condizione che per il raggiungimento di questi scopi è semplicemente DI-SA-STRO-SA.